Mai più saremo saggi…se mai lo fossimo stati!

IMG_0702Il cammino a volte è ripido, ci impegna in traversate impervie e piene di pericoli, ci conduce in territori ostili, dove il camminare spalla a spalla resta la sola via di fuga. Il cammino ci rende più forti se affrontato con gli occhi aperti sui territori che solchiamo, se camminiamo domandando. E noi camminiamo, camminiamo e domandiamo, da 18 anni.
Domandiamo perché se una sola certezza abbiamo maturato in questi 18 anni è che tutto quello che attorno a noi è solido e sembra infrangibile, tutto quello che sembra grigia e claustrofobica certezza, va abbattuto, solo in questo modo il cammino può condurci verso la nuova terra che tutti ricerchiamo.


Il diciottesimo anno di esistenza resta per noi sicuramente un traguardo da difendere e celebrare, ma queste nostre righe più che una celebrazione vogliono essere motivo di criticizzazione della nostra storia e occasione per ribadire alcuni aspetti che per noi sono fondamentali. Non crediamo sia utile dipanare una lista delle cose che abbiamo fatto in questi anni, piuttosto fare un punto su cosa vediamo all’orizzonte dopo 18 anni di cammino. Mai piu’ saremo saggi, parafrasando alcuni versi noti, se mai lo fossimo stati, aggiungiamo noi.
Non è certo saggio occupare uno spazio in un piccolo centro dell’entroterra meridionale, non è saggio mantenerlo vivo in autonomia, pirata, ribelle, senza sponsor politici, senza patrocinii, non è saggio opporsi ai poteri forti che speculano e devastano il territorio, non è saggio alimentare i conflitti in contesti come il nostro, nulla di tutto questo è saggio, eppure lo abbiamo fatto! Consapevoli che la prima vera rivoluzione da fare era quella di sancire a chiare lettere l’incompatibilità con il dominio che ci circondava e l’indisponibilità a forme più o meno palesi di mediazione con esso. Questo uno degli aspetti fondamentali nella costruzione della nostra idea di soggettivita’ politica autonoma, antagonista e ribelle nel nostro tempo e nei nostri spazi. E abbiamo cominciato da zero, prima di noi non c’era mai stata una esperienza simile sul nostro territorio, non c’era una tradizione da seguire, un binario su cui incanalarsi. Abbiamo fatto i conti, fin dai primi giorni, con la sperimentazione di autonomia fuori dal contesto metropolitano e questo resta punto centrale per quel che ci riguarda rispetto alla capacità politica di saper tratteggiare nuove formule, saper dare risposta a nuovi interrogativi, l’aver saputo costruire le formule organizzative per portare l’eresia della ribellione antagonista e autonoma anche nelle campagne del sud. Non sempre è stato facile, non sempre siamo stati all’altezza.
Ci preme però sottolineare alcuni aspetti che sono i tasselli fondativi del nostro essere: contadini nella metropoli, metropolitani nelle campagne. Abbiamo cercato di tradurre nel nostro contesto pratiche, sperimentazioni e modalità di azione di esperienze e storie nate all’interno delle grandi aree metropolitane, cercando pero’ sempre di praticare una loro “tra-duzione” per applicarla al nostro contesto, senza mai (o quasi) cadere nell’errore di applicarle tout court ad esso. Non abbiamo scuole o università che possano essere attraversate di continuo da nuove generazioni di militanti, non abbiamo grosse fabbriche o zone industriali dove poterci contaminare con la tradizione operaia, non abbiamo la vitalità controculturale nella quale poter crescere. Abbiamo solo il deserto della desolazione post-industriale e post-rurale, scandita dalla precarizzazione della vita, dei rapporti sociali e di quelli lavorativi, dalla disoccupazione e dall’esodo verso il nord, il nord Italia, il nord Europa. E come potevamo resistere noi in una terra che repelle, che è ostile, che non ha scogli a cui attraccare? Solo attraverso una profonda conoscenza del mondo che ci circondava, solo attraverso la capacità di costruire moduli organizzativi “liquidi” capaci di ritirarsi e all’occorrenza di essere tsunami. Non abbiamo sempre eccelso!
Una volta, a fine anni ’90, andando in giro per cortei ci ritrovammo per le mani un opuscolo che parlava del collettivo con una metafora sul pugno, diceva piu’ o meno: “un collettivo è un pugno che stringe e colpisce forte, a volte il pugno è talmente stretto che le unghie lacerano la carne, facendo sanguinare la mano”, allora, aggiungiamo noi, il pugno si deve riaprire per far rimarginare le ferite, per tornare a colpire con maggiore forza! L’obiettivo resta sempre il colpire, l’obiettivo primario per noi resta sempre quello della “rottura”, ma sappiamo bene che è anche vero che a volte il pugno si autolacera e allora bisogna fermarsi e farlo rimarginare. La nostra è una storia di ferite, di ferite che si rimarginano, perché, a volte, la “guarigione” diventa l’obiettivo, perché solo attraverso di essa possiamo tornare a colpire.
Per un essere umano 18 sono gli anni della maturità, della saggezza appunto, noi preferiamo restare acerbi, guardare al mondo sempre come se fosse la prima volta, non illuderci nelle certezze, le stesse monolitiche certezze che per i movimenti significano settarismo, lotte egemoniche, divisioni, logiche dalle quali neanche noi ci riteniamo essere totalmente scevri, ma oggi riteniamo che sono un ostacolo da superare, senza illuderci sulla semplicità del cammino. Crediamo anzi che proprio queste certezze siano la causa del pugno che si lacera. Quello dei 18 anni di occupazione non è certo il “tempo rosso 2.0”, sarà forse il 3.0, o 4.0, la nostra storia è un palinsesto di storie, un crocevia di storie e guai a dimenticarne solo una di esse. Quello che siamo oggi è il frutto del cammino di cui parlavamo all’inizio, è il frutto di errori, ma anche il frutto della capacità di saper (ri)nascere per tornare a colpire. Capacità che significa innanzitutto non svendere la nostra storia, non smettere mai di preservare quello che siamo, non lasciarsi affascinare da vie facili, perché il sentiero dell’emancipazione è sempre stato e resta un sentiero impervio. Ecco quello che siamo, siamo di nuovo quelli di 18 anni fa, siamo ancora quelli di 18 anni fa, cambiano i volti, ma mai ci siamo sognati che potesse cambiare l’essenza di quello che abbiamo costruito, mai ci siamo sognati di smettere di sognare il superamento dello stato di cose presenti. Ma a questo sappiamo che va aggiunta la capacità di tradurre nei tempi, nei luoghi e nelle forme le nostre lotte, i nostri conflitti, il nostro punto di vista sulla realta’, sappiamo che bisogna smettere di arrancare dietro al nemico, sappiamo che bisogna accelerare e dettare il passo.
Continuiamo a combattere, a essere branco di lupi, e mai accetteremo di addomesticarci a un mondo fatto di cacciatori e pellicciai.
18 anni di Tempo Rosso sono il nostro più grande grido di battaglia contro i nostri nemici. A cominciare da chi su queste terre inquina, devasta e specula. Da sempre attivi e parte integrante delle lotte a difesa dei territori, ne abbiamo da anni dato una lettura anticapitalista, emancipandoci dal cittadinismo e dall’ambientalismo all’acqua di rose. Conosciamo i meccanismi con cui il capitale estrae valore e profitti dalle nostre terre e dalle nostre vite e per questo continueremo ad attraversare i movimenti popolari e a dare battaglia in ogni contrada. Saremo di nuovo in strada contro la turbogas di Sparanise e per la bonifica dell’agro caleno a cominciare dalla discarica della exPozzi. Lotteremo per una bonifica sotto controllo popolare, dove per “sotto controllo popolare” non intendiamo ne’ il buonismo inutile e vuoto dei comitati di “controllo”, ne’ tantomeno il collaborazionismo con le controparti, con la promessa di qualche sedia da scaldare. Intendiamo per bonifica sotto controllo popolare, la capacità dei movimenti e delle comunità di comporre contrapposizione che sappia sbilanciare i rapporti di forza a nostro vantaggio per poter imporre alla controparte le istanze popolari, nate dal basso all’interno dei comitati. Lotteremo contro ogni forma di abuso e di attacco alla nostra salute e alle nostre terre, ribadendo a ogni colpo che l’agro caleno resta la zona abitata dai ribelli.
Continueremo ad essere argine militante contro fascismi e razzismo, a sforzarci di essere memoria viva delle lotte antifasciste in Terra di Lavoro, così come siamo stati a marzo scorso contro la venuta di Salvini a Napoli. Continueremo a tessere reti di solidarietà e di sabotaggio contro la precarietà sui posti di lavoro, contro lo sfruttamento, contro la nuova schiavitù dei call center, della ristorazione e della grande distribuzione, così come lo siamo stati nelle iniziative di lancio del 1° maggio a sostegno delle precarie e dei precari dei centri commerciali. Continueremo ad essere fucina di sperimentazione politica e contro culturale, ad essere porto per ogni vascello pirata, a costruire una soggettività ribelle profondamente legata e strutturata in base al territorio che attraversa, ai rapporti sociali che in esso vivono, alla tradizione militante e bandita che negli anni abbiamo costruito, senza mai svenderla con la tentazione di poter cambiare le cose all’interno di una cabina elettorale, senza illuderci puerilmente e ciecamente che nel campo dei nostri nemici possiamo un giorno trovare dei validi alleati. Mai proni, mai schiavi, ma resi, mai venduti, mai impauriti…mai più saremo saggi!
La forza del lupo è il branco,
la forza del branco è il lupo!
Le compagne e i compagni del Csoa Tempo Rosso