La crisi economica del capitalismo contemporaneo non è una conseguenza elettorale. L’esautoramento degli strumenti esecutivi dei partiti e delle istituzioni non è un effetto dalle urne.
Indubbiamente la dittatura finanziaria internazionale ha reso definitivamente inservibile la rappresentanza politico-elettorale. Le istituzioni locali e nazionale devono osservare i criteri del fiscal compact, statuiti dalla Commissione europea in base ai vincoli imposti dagli istituti finanziari (ad es. la Goldman Sacs, di cui Monti era consulente, che detiene l’89% del debito pubblico italiano). Elezioni a parte, così è se vi pare!
Tuttavia intellettuali, media e guru dell’opinione pubblica vanno riabilitando Marx e i suoi studi su Das Kapital. E con lui sorridiamo evocando la sua massima: “ben scavato vecchia talpa!” Per la verità, non scopriamo oggi la tragedia che genera il capitalismo e le crisi di cui si nutre. Sappiamo cosa provochi il capitalismo. Sappiamo bene cosa siano povertà, stringere la cinghia, inventarsi mille lavori e sotterfugi per vivere. D’altronde la ricetta che ci viene presentata come panacea per “migliorare” la nostra vita, per sbarcare il lunario, per racimolare quel reddito necessario, oggi, si chiama austerità. Ma all’austerità preferiamo la felicità. Poiché, già qualche anno fa, un’altra formula ci veniva presentata come salvifica. La flessibilità veniva pubblicizzata come felicità. Ci veniva detto proprio da chi oggi si candida a governare la crisi politico-economica: “cambiare lavoro è bello”, “la monotonia è il posto fisso”, “la vita è cambiamento”. In realtà: la flessibilità non è altro che precarietà e la diretta rappresentazione della instabilità sociale ed economica che viviamo. Così il nostro tempo lo trascorriamo alla ricerca di lavori. O forse non più. Siamo costretti ad accettare di tutto: lavoretti in cambio di pochi euro, stage gratuiti nella speranza dell’assunzione (macché, manco a parlarne!), apprendistato senza garanzie e, infine, interminabili ore di lavoro a nero, sottopagato e senza alcun futuro. L’ingovernabilità del paese è questa. La crisi sociale che da anni vivono le/i precarie/i della Campania. L’emigrazione come rassegnazione e unica via di fuga.
C’è chi poi nella crisi ha continuato ad accumulare capitali, ad arricchirsi a danno della collettività.
Ciò che gli scandali politici e giornalistici chiamano “corruzione” o “illegalità” è in realtà solo una piccola parte del problema: il parassitismo che accompagna la riproduzione non solo del ceto politico, ma di tutta una fascia di privilegiati che siede nei consigli di amministrazione, che controlla i mass media, che abita il mondo dello spettacolo, che vende consulenze milionarie, ricicla denaro e prende mazzette per appalti pubblici e forniture private. Che si arricchisce senza produrre nulla, se non corruzione, criminalità, abusi e devastazione ambientale e sociale; è qualcosa che non ci possiamo più permettere di accettare.
Emblematica la situazione del collasso del trasporto pubblico locale, tra stipendi non pagati, e servizi sempre più scadenti o cancellati, a fronte di stipendi e consulenze pagate a peso d’oro per i manager e i professionisti delle società del trasporto pubblico.
Dalla crisi economica alla crisi politica così il vaso si è scoperchiato. Ora è il momento di fargliela pagare. Da questa situazione, infatti, non intravediamo motivi per piagnistei, tantomeno per rassegnazione. Al contrario, crediamo che la dimensione caotica uscita dalle urne ci consegni micce per incendiare la prateria, ci consegni strumenti per osare e per rilanciare la mobilitazione e il conflitto contro la precarietà, per la rivendicazione di un reddito universale e incondizionato, per riprendere possesso della nostra felicità.
L’occupazione di case degli ultimi anni, le lotte degli operatori sociali così come il recente sciopero dei lavoratori della logistica, le lotte di precari in diversi settori parlano il lessico della ingovernabilità al regime di sfruttamento e di precarietà. E al contempo ci mostrano ben definito la fuoriuscita dal tunnel: la crisi politica ed economica è causata dalle banche con l’avallo della politica europea, sono questi che la devono pagare. Devono darci i soldi e andare a casa!
Si badi: in questa fase storica, non basta chiamare all’appello per fare una mobilitazione. E’ indispensabile lavorare tutte/i per unificare le vertenze lavorative, disperse e frammentate sui territori. Ricomporle, quindi, per sferrare un attacco che fin qui è stato purtroppo debole, afasico tanto quanto sono state ampie le divisioni e isolate le lotte. Vale la pena lavorare tutte/i, indietreggiando ognuno di qualche passo per farne insieme uno grande in avanti. Il momento ce lo richiede. E gli eventi vanno colti.
In tutta Italia va crescendo la costruzione di una giornata di lotta contro la precarietà per la conquista di reddito e per la liberazione delle nostre vite dall’austerità, dalla miseria e della crisi. Questa giornata sarà venerdì 19 aprile. Un primo momento per lanciare una mobilitazione nazionale.
Per la costruzione della giornata di lotta in Campania e della mobilitazione nazionale,
Assemblea pubblica
Lunedì 8 aprile ore 17
Aula Matteo Ripa (Palazzo Giusso/Orientale)
Precar*, student* e disoccupat* campani/e per il reddito in costruzione della giornata di lotta alla precarietà del 19 aprile