
Località – Pozzacchio, Castello del Matese (CE) Monti del Matese.
NOTA BENE: Le adesioni dovranno necessariamente pervenire alla mail pensieromeridiano@autistici.org entro il 27 agosto 2012.
Lo stesso indirizzo mail è valido anche per chiedere eventuali informazioni.
“Come farsi un pensiero meridiano tra movimenti, territorio, reddito, precarietà e inchiesta”.
Programma
• 1° Settembre
– Mattina:
Franco Piperno: “A proposito di pensiero meridiano”.
“…per riassumere con un veloce slogan il lento e profondo maturare del “pensiero meridiano”, possiamo dire che il rifiuto sordo e massiccio alla modernizzazione, quella comune percezione ciclica e lenta del tempo, considerata alla stregua di un cancro da estirpare per la salvezza della nazione intera, si è svelato come un immenso magazzino di sentimenti, relazioni, concetti dal quale attingere a piene mani perché il meridione rientri in se stesso, assuma consapevolezza della propria autonomia etica e civile.”
– “L’esperienza del movimento No gas e le lotte per i beni comuni in provincia di Caserta”
a cura del csoa Tempo Rosso
– Giorgio Martinico (centri sociali ex Carcere/Anomalia, Palermo): “Il tempo dei forconi. Per un aggiornamento materialista”
– Pomeriggio:
Prima parte
– Anna Curcio (uninomade): “Un paradiso abitato da diavoli”: sulla razzializzazione del Mezzogiorno d’Italia.”-
– Caterina Miele (antropologa, univ. Orientale): “Un’archeologia del discorso razzista in Italia”-
Seconda parte
– Giso Amendola (uninomade): “La fabbrica della strategia. Come costruire un movimento per il reddito a Sud”.-
• 2 Settembre
– Mattina
– “Come narrare il sud” Dario Stefano dell’Aquila (scrittore)-
– Giuliano Santoro (scrittore, autore di “Su due piedi. Camminare per un mese attraverso la Calabria”) –
– Logistica
1. Sia per i posti letto che per mangiare è necessario che si comunichi, entro il 27 agosto, il numero di partecipanti, esatto.
2. Premunirsi di: sacco a pelo, abiti pesanti per la sera e quello di cui si ha normalmente bisogno quando si passano due giorni in montagna. Portarsi acqua o anche taniche vuote da riempire alla sorgente è sempre cosa buona.
3. Il rifugio è tranquillamente raggiungibile in auto e la strada non è accidentata (tranne qualche curva ma è…montagna).
4. Costi? Esigui…nei prossimi giorni verrà presentato il conto. ;)
NOTA BENE: Le adesioni dovranno necessariamente pervenire alla mail pensieromeridiano@autistici.org entro il 27 agosto 2012.
Lo stesso indirizzo mail è valido anche per chiedere eventuali informazioni.
Presentazione
Anteprima
Dalle assemblee degli ultimi mesi, sull’onda anche del corteo napoletano di fine giugno, è emerso, a più voci, il desiderio di organizzare un momento riservato, intimo, come dire, eccentrico al cospetto della logica assembleare e delle retoriche della contingenza, in cui siamo imbattibili. Il desiderio pungola l’idea. E gli abbiamo dato forma, promuovendo un meeting con l’intento dell’ascolto e del prendersi cura.
Prendersi cura e saperi
Il prendersi cura…ma di cosa? Quando abbiamo a che fare con i movimenti, il significante del prendersi cura è il sapere, il campo del sapere, ovvero un campo immanente e di potere, costitutivamente di battaglia. I saperi sono sempre di parte, o dell’una o dell’altra. Tale campo funziona come un archivio, dove la sua gestione, storicamente, si dà secondo determinati rapporti di forza. Dopotutto, il prendersi cura significa acquisire certi saperi di parte: strumenti destinati alla battaglia. Occorre raccogliere attrezzi per farne un arsenale, un deposito sempre aperto. Non per accumularli bensì per affinarli come asce di guerra.
Il meeting
Elaborare la proposta di un meeting di autoformazione e di confronto per tracciare possibili orizzonti comuni nei quali agire è, oggi, una sfida e una sperimentazione, seppur difficile, davvero entusiasmante. Proprio da tale dato ci piacerebbe partire, ossia dal carattere sperimentale dell’incontro e delle prospettive che gli si aprono innanzi.
Abbiamo la necessità e anche la percezione che questo incontro, e quelli che hanno portato ad esso, vadano letti e attraversati secondo l’angolazione della continua sperimentazione per riformulare concetti, vocaboli. letture, insomma una grammatica complessiva. Non tanto per tracciare e/o imporre una sintesi forzata da dover giocoforza rincorrere e ricercare, quanto per assecondare e alimentare alcune esigenze che si sono palesate con tutta la loro forza in questi ultimi mesi, e, si auspica, per potenziare il nostro stare dentro/contro/oltre le sfide che ci aspettano a partire dal prossimo autunno.
L’idea di mettere in piedi una forma reticolare “a progetto” su una tematica ben precisa e con obiettivi ben delineati, riteniamo resti quella valida sulla quale scommettere e cominciare a sperimentare. Si badi: vogliamo leggere e attraversare tale momento come vero e proprio esperimento; sentiamo forte l’esigenza di attraversarlo per forgiare i migliori attrezzi da utilizzare nei mesi a venire. Al di là degli equilibrismi lessicali e/o delle fascinazioni glottologiche, crediamo che i tempi siano maturi per imprimere una direzione quanto più condivisibile a tali letture senza relegarle al limbo del ragionamento; per moltiplicarne l’azione nell’immanente contraddizione in cui vivono i sud, all’interno della nuda vita delle genti meridionali, contro e oltre i limiti di una cittadinanza che lega con una morsa strangolante la vita, la salute, l’ambiente al lavoro mortifero, come un cappio al collo in cui non sai quando sarà il tuo turno. Uno dei primi nodi da sciogliere è quello della condivisione di tre piani di lavoro: l’idea stessa di sperimentazione, la cassetta degli attrezzi, la traduzione di questa sperimentazione nel campo del reale.
Ripartire dal Sud (oltre la retorica)
Ribaltare il punto di vista sulla narrazione dei sud resta un’esigenza importante. Il sud è stato e viene ancora rappresentato a uso e consumo di determinazioni storico-politiche e di presupposti ideologici. E non è solo una rappresentazione esterna, di colonizzatori verso un Altro. Piuttosto è un dispositivo che agisce dentro noi stessi: come noi guardiamo il sud o le stesse genti meridionali si percepiscono e, poi, agiscono nello spazio/tempo di concetti quali civiltà, modernità, sviluppo. Noi siamo ciò che vediamo e narriamo, con un portato – consapevole o meno – di stereotipi, di pregiudizi, di distanze, di sguardi, di diffidenze: insomma tutte quelle tattiche che costituiscono la strategia complessiva del dispositivo dell’orientalismo nel sud.
Da tale ordine del discorso, ne consegue che il sud venga visto come omogeneo. Di unitaria e rara bellezza, eppure abitato da diavoli, i quali lo renderebbero inabile a raggiungere la civiltà tanto agognata, costringendolo all’afazia e all’inezia nel godere di sé medesimo, delle sue stesse risorse. A tal punto da rendersi, masochisticamente, causa del proprio male. Duneu, non gli resta che piangersi addosso e divenire fardello del paese intero, del nord “sviluppato” oppure dell’Europa a doppie, triple, quadruple velocità. Beninteso, questi sono discorsi che fanno il gioco di chi li produce: il gioco del pensiero neoliberale, della cultura del mercato, della borghesia, il tutto finalizzato a garantire una determinata divisione di classe e, dunque, la continuità dei diversi regimi di produzione capitalistici .
In questo meeting, invece, desideriamo leggere la mappa del sud, in maniera diversa. Capovolta, al contrario, obliqua. Insomma, in tutte le posizioni non conformi. Quelle che ci ridiano il senso della pluralità del sud, anzi, dei sud. In questo meeting, avranno voci le narrazioni dei sud, dei movimenti, dei racconti, delle inchieste e delle conricerche. I sud delle suggestioni e di tutto ciò che si riesca a sottrarre ai dispositivi catturanti dell’orientalismo, i cui tentacoli scavano soprattutto nel nostro modo di vedere la realtà: siamo noi che leggiamo il sud depotenziandone l’eccedenza, sottovalutandone la ricchezza incarnata. Che il sud si posa sulla ricchezza della sua composizione sociale è inscritto nella sua storia moderna e contemporanea: non vi è provincia del mondo che abbia avuto tanti conflitti, rivolte, insurrezioni, ribollimenti, come un vulcano in perenne esplosione, quanto il sud. Potremmo dire con Spinoza, che la moltitudine risieda qui, ovvero quella pluralità che persiste positivamente in tutta una serie di azioni e affetti senza ridursi mai ad un uno ed è perciò una struttura portante delle libertà, risiede nella storia del sud. Infatti, tale storia contrasta con la moltitudine teorizzata da Hobbes, il padre del liberismo moderno, che riporta il concetto di moltitudine allo stato di natura, a prima cioè dello stato politico, quando vigeva l’homo homini lupus (uomo belva per l’altro uomo) e vi erano i molti; mentre dopo la fondazione dello stato, del potere sovrano sulle passioni umane, vi è un popolo unico, cioè un uno. Il capitale, infatti, si regge e si nutre dell’unità, dell’omogeneità.
Un meeting che parli del sud, da un punto di vista obliquo/diverso, non può che essere un contenitore mentale con molti sud. Uno spazio diversificato ed eccedente le forme stereotipate cucitegli addosso, indisponibile ad essere imbrigliato in dispositivi di razzializzazione o inferiorizzazione, la cui funzione è quella di imporre il comando sulla cooperazione produttiva del lavoro vivo (quella ricchezza sociale di cui sopra), nei termini di gerarchie di potere territoriali, che attraversano sia le istituzioni che la geografia urbana siglando alleanze criminali e clientelari.
E, forse, ciò che realmente accomuna il sud, rendendolo omogeneo, è il comando capitalistico. Lo fa unico, unificato, quell’unum di cui parlava Spinoza, qui agisce visibilmente. Da una parte, la governance del capitale diviene, nel sud unificato, emergenza perpetua e difficoltà antropologica, dove la classe politica, nutrita di cultura borghese, si intride nel clientelismo e nella criminalità. Dall’altra, l’unificazione del sud passa mediante regimi di produzione che fanno della povertà e della precarietà gli strumenti del ricatto nel senso di unità di misura dell’accumulazione capitalistica. In altri termini, l’inclusione e l’esclusione differenziale nel mercato del lavoro favoriscono l’abbassamento del costo del lavoro e aumentano spazio/tempo dello sfruttamento esclusivamente a vantaggio dei grossi capitali.
Con un caleidoscopico la realtà va irraggiandosi in tante realtà. Con la medesima predisposizione occorre guardare il sud per farne affiorare tanti sud, irregolari, asimmetrici, al di fuori della linearità e della razionalità del tempo storico, stagliati come cristalli nella storia del Mezzogiorno. Tali cristalli sono i sud della cooperazione sociale liberata dal comando capitalistico come quelli che producono comune e comunità, oppure quelli in grado di attivare processualità virtuose in cui le comunità prendono parola pubblica, laddove il protagonismo sociale erode sovranità alla parassitaria classe politico-imprenditoriale. Sono i sud dei movimenti e dello “spirito pubblico meridionale”.
Insomma, leggere la mappa del Sud in maniera diversa significa, indagare nuovi terreni di ricomposizione sociale proprio a partire dalle lotte, dai microconflitti, dalle forme di resistenza e di produzione biopolitica che all’interno dei tanti sud del Sud stesso si danno. Un vasto lavoro di indagine sociale e di conricerca va approntato per interpretare i desideri e i bisogni della soggettività proletaria, in tutta la sua frammentazione, dentro e contro la crisi del neo-liberismo.
Dai conflitti del Sud verso l’Europa delle lotte
Partire dai conflitti che a Sud si danno per approdare nello spazio europeo. Nella crisi globale del neo-liberismo lo spazio dei movimenti non può che essere quello trans-nazionale. Diviene allora l’Europa lo spazio principale destituente e costituente dei movimenti, lo spazio del “dentro e contro”, del rifiuto delle politiche di austerità e della costruzione di istituzioni autonome. Nessun rimpianto per la vecchia sovranità nazionale ormai andata. Pensiamo, anzi, proprio quelle forze che in modo populistico e demagogico propagandano l’uscita dall’Europa e il ritorno alla vecchia sovranità nazionale rappresentino un pericolo da non sottovalutare. Il quesito non può essere Europa Si o Europa No, bensì quale Europa da costruire.
Reddito: un’arma dentro e contro la crisi capitalistica
In questo quadro riteniamo importante saper tracciare un orizzonte comune nel quale agire soprattutto in merito alla questione del reddito, per poter in questo modo trasferire nell’immediato, dal piano dell’analisi tout court a quello del reale, l’insieme dei punti di vista e delle esperienze coinvolte nella sperimentazione che dicevamo poc’anzi.
Mettendo subito mano possiamo, quindi, affermare che il “tracciato” di questo orizzonte va costruito con la massima attenzione in quanto resta fondamentale per ogni possibile sviluppo a venire e su questo abbiamo da mettere in luce subito i primi punti di criticità. Ci immaginiamo infatti una sintesi che di certo vada a colpire ed attaccare lì dove persistono e si sviluppano gli snodi di riproduzione e di governance dei fenomeni della precarizzazione e della crisi. Questa sintesi non può non passare attraverso la critica profonda, radicale e totale del sistema della rappresentanza, dei partiti (sia che si chiamino essi partiti, sia che si travestano da movimenti) e dei sindacati, per far vivere questa sperimentazione dal basso nella più totale autonomia. Questa resta conditio sine qua non per innescare fenomeni di sintesi e di costruzione di percorsi, a questo va associato il lavoro di costruzione della cosiddetta “cassetta degli attrezzi”.
Bisogna, inoltre, bilanciare all’interno della discussione stessa, lo spazio tra discorso meridiano e tematica del reddito per non rischiare di compromettere questo primo appuntamento appiattendolo su una dimensione troppo teorica senza riuscire ad estrapolarne strumenti necessari alla traduzione di questa discussione nel lavoro reale a partire dall’immediato.
La rivendicazione di un “reddito universale incondizionato” non solo per agire sulla redistribuzione della ricchezza ma come strumento di sottrazione al ricatto del lavoro capitalistico e alla precarizzazione che questo impone.
La drammatica questione dell’Ilva di Taranto ci mostra come la lotta di classe non possa più strutturarsi soltanto intorno al conflitto capitale/lavoro. A questo va aggiunto il terreno dei beni comuni, dalla salute alla difesa del territorio. Alla logica lavorista, al ricatto tra lavoro o salute, non possiamo che sottrarci con la costruzione di un “welfare del comune”. Una scommessa che sta tutta nella capacità di sperimentare istituzioni autonome e forme di contropotere dentro e contro la società capitalistica.
Inoltre il “reddito universale incondizionato” come rivendicazione affermativa, ricompositiva delle/dei precar* divisi, frammentati e individualizzati. Non per mirare ad una reductio ad unum della composizione di classe (l’abbiamo già detto, l’uno è funzione costitutiva del capitale: la riduzione a sistema-mondo dei flussi commerciali, dei movimenti dei corpi, del controllo della forza-lavoro è l’unica ragion d’essere del capitale), quanto piuttosto per curvare la tendenza alla sua ulteriore precarizzazione, individualizzazione. Dal reddito dobbiamo tentare di saltare sulla coda del drago, aggredirlo mediante la valorizzazione dell’eterogeneità, della diversità, della molteplicità della composizione del lavoro vivo: passare dall’assoggettamento alla soggettivazione, all’antagonismo. In altri termini, curvare i dispositivi della precarietà in dispositivi di resistenza e di produzione di soggettività, cioè di autovalorizzazione del lavoro vivo, quale ricchezza sociale e politica, anima portante della cooperazione produttiva. Con Marx dei Manoscritti economico-filosofici, dobbiamo tentare di interrompere la tendenza, aprendogli un altro corso, al modo di produzione capitalistico, dove il lavoro umano diviene strumento del processo di valorizzazione del capitale: “nell’incorporare la forza-lavoro viva alle sue parti componenti oggettive … diventa un mostro animano, e comincia ad agire come se avesse l’amore in corpo”. Al mostro possiamo porre contro il “regno delle libertà”, il quale comincia soltanto dove il “lavoro determinato” cessa di venir condizionato “dalla necessità e dalla finalità esterna”, soltanto con l’autovalorizzazione della “forza-lavoro viva” si può esperire l’esodo dal capitale: “che l’uomo socializzato, cioè i produttori associati, regolano razionalmente questo loro ricambio organico con la natura, lo portano sotto il loro ‘comune’ controllo, invece di essere da esso dominati come da una forza cieca; che essi eseguono il loro compito con il minore possibile impiego di energia e nelle condizioni più adeguate alla loro natura umana e più degne di essa” (Il capitale, p. 933).
A tal proposito, seppur possa restare in piedi il tentativo di partire con una campagna per la proposta di legge d’iniziativa popolare, riconoscendone i limiti intrinseci e di certo non pensiamo sia il passaggio verso il “regno della libertà”, preferiremmo sciogliere e approfondire tali limiti proprio all’interno della discussione stessa, per evitare di creare falsi miti o di concentrare troppo lavoro su un qualcosa che possa risultare un’arma a doppio taglio, sia dal punto di vista della reale incisività, sia per natura stessa della proposta di legge. Assumiamo come base di lavoro: la rivendicazione di un “reddito universale incondizionato” come chiave di volta di questo ragionamento; e la campagna stessa come “strumento” nelle mani dei movimenti per agire sul reale, per inchiestare all’interno della società, per attraversare fisicamente i luoghi dello sfruttamento e della precarizzazione. In ultima analisi riteniamo che l’approccio alla legge d’iniziativa popolare debba essere inteso solo ed esclusivamente come “casus belli” per cominciare a far girare alcune tematiche e alcuni punti di vista. A ciò, va obbligatoriamente associato sia un lavoro di inchiesta sui territori, sia la messa a punto di strategie, di campagne e di iniziative che vadano nella direzione di portare a casa, al più presto, risultati palpabili, soprattutto nel campo del “reddito indiretto”. Peraltro, piuttosto che fare una lista dei possibili campi di intervento, riteniamo esclusiva l’esigenza, che non vada tenuta in secondo piano, ma anzi mantenuta tra le priorità: agire, fin da subito, per la riappropriazione di reddito indiretto (dalla casa, ai trasporti, dalla cultura alla sanità, ai beni comuni) e per la produzione appunto di quel welfare del comune.
Rapporto teoria/prassi attraverso inchiesta militante e conricerca
Tentare di mantenere la necessità dell’azione multiforme e capillare sui territori proprio con queste direttive per andare a conricercare nelle città, nei quartieri, nei paesi e nei territori, le esigenze e le aspirazioni di classe.
Per questo ritenevamo e riteniamo ancora oggi essenziale il lavoro costante e particolareggiato sui territori per poter all’interno di questa nostra sperimentazione, mettere in piedi dei “laboratori”, degli “osservatori privilegiati”, sulla realtà e nei quali appunto mettere in campo sperimentazioni e contaminazioni.
Da qui ad una fisionomia più delineata, il percorso è lungo, necessita degli opportuni interventi di registrazione, i quali, in larga parte, crediamo possano essere districati e messi a critica esclusivamente con la prassi politica sui territori, andando dalla sperimentazione meramente teorica a quella pratica: essenziale per la risoluzione delle problematiche, per una futura sintesi, ma soprattutto per rompere gli argini che ci limitano ad essere semplici soggetti politici a confronto piuttosto che pezzi di società che autocostruiscono percorsi di rivendicazione, di emancipazione e di comune. Questo resta un punto di fondamentale portata.
Per ciò bisogna anche interrogarci su cosa e come, nel prossimo autunno, creare percorsi autonomi di lotta, avendo capacità di imporre scelte e direzioni alla controparte e interrogandoci sulla sperimentazione di nuove istituzioni autonome. Certo anche in questo caso, guardando a quanto si muove sia sulla sponda africana del Mediterraneo, sia su quanto si muove nella vecchia Europa, Spagna e Grecia in primis.
Questo resta fondamentale, soprattutto in Campania, dove la vicenda della difesa dei beni comuni ha formato già, in alcune zone in modo embrionale, in altre con più solidità, l’idea di “comunità” resistente, cooperante, autonoma, capace insomma di porsi come nuova istituzione del comune. Queste esperienze vanno indagate, messe a critica, da queste esperienze vanno estrapolati i punti di forza e di debolezza per farne scaturire percorsi e sperimentazioni reali.
Materiali di approfondimento:
– Vento Meridiano: https://www.facebook.com/notes/zero81/orizzonti-meridiani_incontro-di-autoformazione-materiale-di-approfondimento-vent/440442722661076
-Il tempo dei forconi:
http://uninomade.org/il-tempo-dei-forconi-2/
-Note su razzismo e antirazzismo in Italia: http://uninomade.org/note-su-razzismo-e-antirazzismo/
-Razzializzazione del Mezzogiorno:
http://uninomade.org/wp/wp-content/uploads/2012/05/Note-sull%E2%80%99identit%C3%A0-italiana-fra-razza-e-razzismo.pdf
– Dibattito sulla cosiddetta “questione meridionale”: https://www.facebook.com/notes/zero81/orizzonti-meridiani_incontro-di-autoformazione-materiale-di-approfondimento-ques/440450215993660
– Wu Ming, Giuliano Santoro http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=8338
Incontro a cura di:
CSOA Tempo Rosso (Pignataro Maggiore – CE), Zero81, Bancarotta (NA), CSA Depistaggio (BN), CSOA Bastian Contrari (SA).